Il critico d’arte del New York Times ha recensito i lavori di rinnovamento e ampliamento del famoso museo di New York, di cui non è convintissimo
l 21 ottobre riaprirà, dopo quattro mesi di chiusura, il Museum of Modern Art di New York, poi diventato famoso come MoMA, il museo più importante al mondo dedicato all’arte moderna e contemporanea. Si tratta dell’ultima fase di un progetto di rinnovamento iniziato cinque anni fa e costato 450 milioni di dollari, realizzato dallo studio di architetti Diller Scofidio + Renfro in collaborazione con lo studio Gensler, e che amplierà il museo di quasi 3700 metri quadrati di spazio espositivo in più. Il nuovo MoMA potrà così mostrare 2.400 opere contemporaneamente, circa più di mille rispetto a prima.
Da quando venne fondato nel 1929 da Abby Aldrich Rockefeller, moglie del finanziere John D. Rockefeller Jr. e dalle sue due amiche Lillie Bliss e Mary Quinn Sullivan, il museo dovette aspettare dieci anni per trovare spazio nella sua sede attuale, sulla 53ª Strada, tra la Quinta e la Sesta Avenue, e da allora ha conosciuto molti lavori di rinnovamento e ampliamento, che rispondevano alla crescita della sua rilevanza, all’afflusso del pubblico e ai nuovi modi di allestire l’arte. Quando venne inaugurato, nel 1939, era un edificio rettangolare a sei piani disegnato dagli architetti modernisti Philip L. Goodwin e Edward Durell Stone, ricoperto in vetro e pannelli di marmo: svettava come simbolo dell’arte moderna che voleva custodire e far conoscere tra le case in pietra calcarea e le villette a schiera di quello che allora era un quartiere residenziale.
Da subito iniziò a espandersi e, come scrive il critico d’arte del New York Times Micheal Kimmelman, «il museo ha inghiottito proprietà, cospirato con i costruttori, eretto grattacieli, demolito edifici sulla sua strada, ne ha costruiti di nuovi e poi a volte li ha buttati giù per fare spazio a un nuovo restauro». Negli anni Cinquanta e Sessanta il MoMA affidò una prima espansione a Philip Johnson, negli anni Ottanta a Cesar Pelli e poi nel 2004 a Yoshio Taniguchi. Tra le conseguenze di questi ampliamenti ci fu anche la crescita di pubblico: negli anni Settanta il MoMA era visitato da circa un milione di persone all’anno, che divennero due dopo l’intervento del 2001-2004 di Taniguchi e tre nel 2010; con il nuovo se ne aspettano tre milioni e mezzo.
Il nuovo MoMA dedicherà sempre tre piani alla collezione permanente e alle esposizioni temporanee, avrà più spazi per le performance dal vivo, la musica e la danza, tra cui uno al piano terra che sarà visibile all’esterno come fosse la vetrina di un negozio. L’allargamento sarà reso possibile soprattutto dall’incorporazione di parte degli spazi dell’ex American Folk Art Museum, ormai chiuso e spostato nell’Upper West Side di New York. La scalinata Bauhaus verrà estesa dal piano terra al secondo e terzo piano; al primo piano sarà aggiunta una nuova lobby con due gallerie a ingresso libero (ci sono per esempio otto dipinti del kenyano Michael Armitage) mentre al sesto ci sarà un ristorante con terrazza che prenderà il posto di quello all’entrata del quinto piano, dove «l’odore degli scampi e della vellutata di asparagi si mescolava ai quadri di Seurat e di Cézanne», come scrive il New York Times. Verrà ridisegnata anche la libreria mentre un negozio per i regali sarà spostato al primo piano sotto terra.
https://www.ilpost.it/2019/10/15/moma-riapertura-troppo-grande/