Scegliere Venezia come dimora è una presa di posizione netta, implacabile, oggi come ieri. Città dagli equilibri precari, eppure incastonati nel flusso della storia come le bricole nei fondali che la sostengono, Venezia attrae e sottrae, ipnotizza, accoglie e respinge, impigliandosi nello sguardo e annullando qualsiasi altra possibilità. Scegliere Venezia come sfondo della propria vita implica fermezza e audacia, ma anche una inevitabile accettazione del rischio che si corre a piantare i passi in un ecosistema fragile e bellissimo. Doti che di certo non mancavano a Peggy Guggenheim (New York, 1898 – Camposampiero, 1979), “l’ultima dogaressa” oggi celebrata dalla istituzione lagunare a lei intitolata. La mecenate, che non aveva avuto timore di osare quando decise di aprire a New York un luogo rivoluzionario come Art of This Century, nel 1949 scelse Venezia senza alcuna esitazione, acquistando Palazzo Venier dei Leoni e trasformandolo non solo nella sua abitazione, ma anche nella “custodia” ideale di una raccolta destinata a cambiare per sempre il volto del collezionismo al di là e al di qua dell’oceano.
LA MOSTRA
La mostra ospitata dal medesimo edificio riavvolge il filo di una storia ormai nota, a quarant’anni di distanza dalla morte di Peggy Guggenheim. Una rassegna che, scevra di guizzi concettuali e allestitivi, va dritta al cuore di una vicenda al contempo intima e pubblica, illuminandone i passaggi chiave. Ci si addentra, una sala dopo l’altra, nelle decisioni prese non da una semplice mecenate ma da una personalità acuta, in grado di comprendere le esigenze degli artisti e di supportarne la poetica. E sono proprio gli artisti a rischiarare il cammino, stabilendo dei punti fermi in un percorso trentennale, che dal 1948 – anno della fatidica Biennale in cui la raccolta Guggenheim si presentò al pubblico fra le mura del padiglione greco – raggiunge gli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, includendo geografie dai confini particolarmente ampi.
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