In milioni, di Roma, non vedono nemmeno il Colosseo, quasi fosse diventato una muraglia invisibile, a causa dell’assuefazione alla bellezza che grava sugli abitanti della Città Eterna. In egual maniera passano inosservati gli altri monumenti fondativi della città, considerati, nella migliore delle ipotesi, ostacoli al traffico o retaggi ingombranti di un passato sempre più sfuggente. Quel che è peggio è che gli eserciti di turisti che assediano la Capitale viaggiano su binari prestabiliti: catturati e portati in visita lampo nei luoghi top della città, ne tralasciano, il più delle volte, l’anima segreta. Siamo perciò andati a caccia di un percorso alternativo – quasi iniziatico – per riscoprire, un po’ come si fa nel vecchio sceneggiato Rai dal titolo Il segno del comando, quella storia di Roma che così tanto affascina chi la conosce e che, a poco a poco, rischia di scomparire.
La Porta Alchemica (Piazza Vittorio)
Questa porta, realizzata nella seconda metà del Seicento e affiancata da due statue barbate che ricordano il Bafometto dei Templari, è legata alla figura del marchese “rosacrociano” Massimiliano Palombara e al magus Francesco Borri, personaggio controverso che merita senz’altro un approfondimento.
Alchimista, avventuriero e discendente di una famiglia nobile di Milano che si diceva avesse origine da Afranio Burro (il prefetto del pretorio che secondo leggenda fu avvelenato da Nerone), Borri studiò a Roma presso il Seminario e fin da subito manifestò una personalità singolare, poco incline a uniformarsi alle regole e che lo portò a essere espulso per aver organizzato una rivolta contro i Gesuiti. Lasciò quindi Roma per Milano ed entrò in contatto col movimento quietista, cercando e fondando movimenti pseudo-religiosi e settari che gli aizzarono contro l’Inquisizione.
Cultore dalla dottrina medica “iatrochimica” di stampo paracelsiano, Borri ne sperimentò i principi persino su se stesso per curare la sifilide di cui soffriva, ricavando un farmaco derivato dal mercurio che si diceva gli provocasse visioni mistiche. Per sfuggire all’Inquisizione si recò a Innsbruck, presso Anna de’ Medici (moglie del conte del Tirolo e sorella del cardinale Leopoldo de’ Medici), poi viaggiò per Strasburgo, Francoforte e Amsterdam, mentre la sua crescente fama di magus e di guaritore fomentava i sospetti dalla comunità scientifica europea e lo sdegno dell’Inquisizione.
Dopo aver divulgato invano il suo “identikit”, nel 661 i padri del Sant’Uffizio dovettero accontentarsi di bruciare a Campo de’ Fiori soltanto l’effige del Borri, finché, dopo averlo inseguito per anni, non riuscirono a catturarlo sui Carpazi mentre tentava di raggiungere la Turchia. Tradotto prima a Vienna, poi a Roma (Castel Sant’Angelo), Borri sarà infine destinato a morire di malaria. Non prima, tuttavia, che alcuni influenti nobili romani, per loro curiosità, fossero riusciti a sottrarlo temporaneamente dalla reclusione per assistere ai suoi prodigi alchemici.
E fu proprio durante una di queste “libere uscite” che Borri, travestito da pellegrino, incontrò il marchese Palombara e lo aiutò a costruire la Porta Alchemica nella sua villa sull’Esquilino: una Porta talmente celebre fra gli appassionati di alchimia che persino Fulcanelli, in uno dei suoi saggi esoterici, tenta d’interpretare i simboli magici incisi sopra di essa. Simboli che si dice contengano il segreto della trasmutazione del piombo in oro.